martedì 15 giugno 2010
[Bicilindrica] Ottanta
c Mille, novecento e poi 80
Una special moderna da una SP 1000 di quasi trent'anni fa…
di Lorenzo Antonelli - fotone@alice.it
La guardi da lontano, le giri attorno, ti avvicini per scrutarla e, se non fosse per quei due enormi cilindri (verniciati in nero) che fanno capolino appena sotto il serbatoio, quasi stenteresti a riconoscere che trattasi di Moto Guzzi.
Il progetto, giocoforza, non poteva che essere opera e ingegno del pescarese Filippo Barbacane, già decorato alla bisogna per due capolavori quali Griso Zero (primadonna del numero 21, aprile 2007) e Anima. L'idea di fondo, tanto semplice nel concept quanto pregevole nella realizzazione, era quella di assemblare una special due ruote adatta all'utilizzo quotidiano, capace di garantire affidabilità su strada e di preservare il piacere dello stile retrò. Un mezzo, insomma, in grado di scorrazzare, impettita ma agile, tra ufficio, aperitivo con gli amici e, perché no, pure alla domenica, su per i tornanti di montagna (con o senza fanciulla al seguito).
Del resto la ciclistica Moto Guzzi, Mandello ci insegna, è roba sopraffina, che puoi chiederle anche più di quanto tu possa immaginare. La coppia, poi, quella non manca mai, per spingere tutto in basso, che ci si può anche dimenticare la terza sempre ingranata, fa lo stesso. E quell'ottanta (80) sul serbatoio, quasi tracciato a mano, sta lì, in bella mostra, a sottolineare le coordinate temporali di riferimento della moto, piuttosto che apparire come modaiolo numero di gara.
Basso, infine, vuol dire maneggevole e, sebbene i cavalletti da officina la alzino di almeno dieci centimetri, una volta in sella la 80 ti trasmette sicurezza totale e un'inattesa capacità di scendere in piega, rapida e precisa.
In altro tempo e altro luogo (magari davanti a una birra in compagnia) si potrebbe raccontare di un debito insoluto, di un rapido scambio telefonico e un furgone pronto a portare a casa la "refurtiva". Ma qui, data la sede, vi basti sapere che la base di realizzazione, incredibile a dirsi (e a guardare le foto di corredo) è stata una Moto Guzzi SP1000, portata in "cantiere" per un tozzo di pane e scampata al logorio del certo e mortificante inutilizzo. Una Guzzi, parola di Filippo Barbacane, "ha un'anima pulsante che ha assoluto bisogno di scalciare e vivere, non puoi mica lasciarla ferma a prender polvere o invecchiare sotto un telo". Detto fatto e, appena adagiata sul lettino dello specialista, il primo macroscopico intervento è stato quello di rimuovere le ingombranti e anacronistiche sovrastrutture della moto ancora originale, così da poter lavorare ex novo, partendo dall'interessante geometria del telaio. Laddove si stia parlando di special, infatti, il lifting al passo coi tempi impone precise regole da rispettare: via, dunque, quello spigoloso (e per nulla armonico) cupolino, via il filante serbatoio da tradizione, la mastodontica seduta e il relativo codino. Poi due notti (e due giorni) in osservazione e prognosi riservata, quasi ad aspettare la migliore ispirazione e che la pregevole e accattivante finitura (cromatura nera) del telaio fosse totalmente asciutta, quindi via ai lavori di restyling.
Al telaio originale (e sempre nel pieno rispetto della reversibilità delle modifiche apportate sulla moto) sono state adattate due piastre di derivazione California, in seguito alle opportune e necessarie modifiche perchè le dimensioni del perno del cannotto di sterzo collimassero alla perfezione. A beneficio di un avantreno ancor più reattivo e preciso, poi, è stato utilizzato il kit Rossopuro per l'arretramento di un grado sul cannotto di sterzo. La scelta della forcella, quindi, ha premiato una muscolosa Marzocchi tradizionale da 45 mm con tanto di riporto al tin nero (in netta controtendenza rispetto al dilagare degli steli rovesciati) che, per intenderci, è la stessa che monterebbe di serie la 1200 Sport di recente produzione, mentre gli ammortizzatori posteriori (dotati di tutte le regolazioni del caso) sono della Asatek, anch'essi con finitura nera.
Era chiaro, ancora, che i cerchi sarebbero dovuti essere a raggi (ormai quasi un marchio di fabbrica per le creazioni di Filippo Barbacane). A tal proposito si è reso indispensabile un certosino lavoro, volto all'adattamento del mozzo California su cerchi tubeless da 2,5 pollici, oltre alla necessità di accorciare i raggi e regolarne la corretta inclinazione piegandoli manualmente (uno ad uno e molta pazienza). La gommatura, poi, mantenendo fede alle caratteristiche riportate sul libretto di circolazione, prevede una splendida coppia di Metzeler Lasertec 110/90/18. Nonostante il primo impatto lasci pensare al tipico bobber a ruote larghe, siffatta "calzatura" conferisce alla 80 indiscusso fascino e sensazione di sicurezza sulle strade urbane, magari fatte di ciottolato, pavè o infide rotaie del tram. L'impianto frenante ha subito un notevole aggiornamento e del vecchio tamburo posteriore non esiste più traccia alcuna. L'avantreno della 80, infatti, vanta ora una coppia di dischi Brembo Serie Oro da 320 mm e pinza Brembo a doppio pistone, mentre al posteriore figura uno splendido disco da 240 mm, ancora una volta Brembo Serie Oro.
Inoltre, a garantire ulteriore prontezza e corposità in fase di frenatura, il vecchio impianto di raccordi idraulici in gomma è stato sostituito con un più moderno sistema di tubi in treccia d'acciaio. Non che la 80 debba essere portata a velocità da ritiro della patente, "tirando" staccate al limite del buon senso, ma sul versante sicurezza, parola di Filippo, non c'è mai da esser troppo parsimoniosi. Alla vista anteriore, oltre all'ingombrante (e fascinoso) sporgere dei due grossi cilindri, spicca il grosso fanale circolare di una Griso, opportunamente verniciato in nero opaco. E, se sul brigante di Mandello quello stesso faro (cromato) assolveva la funzione di conferire alla moto un piccolo tocco retrò (debitamente mixato con il moderno telaio e le sovrastrutture dal design avveniristico), il risultato sulla 80, invece, ha un indubbio sapore aggressivo e corsaiolo, per un piccolo spunto di cattiveria che non va a snaturare le proporzioni generali del mezzo. Contravvenendo alla comoda posizione di guida della SP 1000 originale, chiaramente votata al rilassato turismo a lungo raggio, la 80 vanta un largo manubrio doppio conico a sezione variabile.
Una volta in sella e gas alla mano si ha la sensazione di dominare la strada, con le braccia aperte a prender tanta aria e il busto leggermente caricato in avanti, per "sentire" meglio il granitico avantreno. Appena al di là dei grossi steli della forcella trovano il più razionale alloggiamento il contagiri e l'orologio, mentre il contachilometri è incastonato nella parte sinistra del serbatoio, di fianco all'affascinante tappo-benzina, più che mai cromato e scintillante. Poi, quasi ad impreziosire il lavoro sulla disposizione della rinnovata strumentazione di bordo, spunta la dicitura "Prodotto Tipico Italiano", in corsivo, per quel tocco di classe in più che non guasta mai. Le pance concave del serbatoio, ancora, opportunamente plasmate per accogliere le ginocchia del pilota (anche quelli oltre il metro e ottanta di altezza), sono state realizzate artigianalmente, lavorando su forme arrotondate estranee alla tradizione del marchio lombardo. La sella, infine, sensibilmente più corta del modello originale e comunque capace di accogliere agevolmente un passeggero, lascia scoperto il rastremato codino posteriore (adornato anch'esso dalla dicitura "Mille Novecento Ottanta" in corsivo). Inoltre, la nuova allocazione della seduta, oltre che conferire alla moto un'impostazione più moderna e aggressiva, ha l'indiscusso vantaggio estetico di mantenere a vista la geometria del telaio, con il triangolo centrale in bella mostra (chiuso da due fiancatine in poliuretano espanso e fogli di alluminio) e la prosecuzione posteriore che sorregge parafango, impianto luci e targa. Sulla falsariga degli stupendi accessori in catalogo Rossopuro Filippo Barbacane ha modificato una coppia di paracandela (forati e alleggeriti) i quali, oltre a conferire un look più accattivante alla moto, hanno la reale funzione di limitare i danni a serbatoio e cilindri in caso di malaugurata scivolata a terra. L'impianto elettrico, inoltre, modificato e semplificato nello schema, ha permesso di posizionare il blocchetto accensione sul fianco sinistro della moto. Ultimo, ma non meno importante, è l'impianto di scarico.
Abbandonato lo schema del due in due con un terminale per ogni lato della moto (previsto dalla produzione in serie della SP 1000), Filippo Barbacane ha utilizzato una coppia di scarichi Quat-D, montati l'uno sull'altro, in maniera sovrapposta, così da lasciare scoperto l'originale cardano. Il lavoro per adattare alla moto tale impianto ha portato il preparatore pescarese all'ingegno fai-da-te, costretto a tagliare, saldare e modellare i collettori di raccordo, dopo aver assicurato i finali con delle staffe artigianali. Il risultato è tanto funzionale in termini di sostanza quanto accattivante nella forma, con i lunghi collettori originali che corrono paralleli al telaio, per poi incontrarsi al centro e procedere "sparati" verso l'alto. La verniciatura, vero fiore all'occhiello, sembra giocare con riflessi metallizzati e zone opache, in una sapiente commistione di vintage e moderno. A conti fatti si tratta si un mezzo piacevole e affascinante, adatto sia all'utilizzo urbano che alle piccole escursioni fuori porta. Magari non sarà innovativo o rivoluzionario, non sarà corredato da soluzioni tecnologiche all'avanguardia (a tal proposito è da tenere d'occhio il nuovo progetto di Griso Big Bore da 140cv, nato dalla collaborazione tra Filippo Barbacane e la Millepercento) e non avrà una cavalleria da rodeo a due ruote, ma una cosa è certa: quel borbottio lento e cadenzato, la tipica coppia di rovesciamento che tira verso destra e una sessantina di cavalli purosangue tutti in basso sono quanto di meglio ci sia per scaldare il cuore di ogni buon guzzista.
[Articolo pubblicato su Bicilindrica]
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