martedì 15 giugno 2010

[Bicilindrica] Diamante



Pietra preziosa
La nuova concezione di Griso secondo Filippo Barbacane
di Lorenzo Antonelli


"Ci sono dei sogni che fanno capolino solo quando sono certi di essere accolti con l'esaltazione vivissima della rivelazione" (Alberto Sala, Moto Guzzi, Oscar Mondadori, 2007).

La Diamante è oltraggiosamente bianca, giusto un bordino rosso a dare tridimensionalità, con la scocca spigolosa e inusitata e il motore che sembra fluttuare, abbarbicato nella compatta (e ampiamente rivista) geometria del solido telaio.
A guardarla dal fianco destro restituisce sensazioni visive tipiche delle moderne naked d'assalto, vertiginosamente caricate sull'anteriore e minimali nel futuristico design.
Ma il passo lungo, esageratamente lungo, oltre a essere sinonimo di stabilità, ne tradisce la provenienza lombarda, in quel di Mandello, sulla sponda del Lago di Como dove le aquile bicilindriche fanno il nido.
Un'occhiata al cardano, poi, fuga qualsiasi dubbio: è Moto Guzzi, come non s'era mai vista prima!
Dai grossi cilindri si diramano i due collettori di scarico i quali, avvolgendo il blocco motore in maniera sinuosa (e invertita rispetto a qualsiasi Griso di serie), convergono in un terminale per nulla invasivo, quasi nascosto, a sublimare l'essenzialità delle forme.
Il fianco sinistro, poi, è tripudio Zen, fatto di spazi vuoti e mancanti, dosati, pesati e calcolati con estrema attenzione.
E il termine "sospensione", laddove associato alla Diamante, non attiene a forcelle, steli, olio, compressione e precarico, ma ha ben altra accezione.
Ogni elemento appare, infatti, privo di una struttura portante per ancorare le ruote al doppio monobraccio. Sembra di essere dinanzi a un provocatorio disegno a china, a un progetto di design ancora embrionale o a una proiezione al computer di quel che saranno le moto del prossimo futuro.
Ma, invece, si tratta di un sogno funzionante, capace di accendersi al primo giro di chiave, per dar voce, così, all'esagerato motore millequattro.
Che la fortissima passione per la tradizione culturale giapponese rivesta un ruolo primario per il genio creativo di Filippo Barbacane è cosa nota. E la Diamante, dunque, incarna perfettamente il concetto di "vuoto", in cui le parti mancanti sublimano nella giustificazione dell'oggetto stesso.
Essenziale e muscolosa, la Diamante dispensa bianco e nero come fossero yin e yang, colori opposti e complementari, in un lavoro di ricerca estetica al quale neanche la pregevole Griso Zero fu sottoposta.
"L'idea di esasperare le forme della Griso e dar vita, così, a una special unica ed esagerata, sia dal punto di vista estetico che motoristico, occupava i mie pensieri già da tempo. Ho colto al volo (e, spero, nel migliore dei modi) le intenzioni dell'appassionato che ha deciso di commissionare una simile realizzazione. Inoltre, l'eccezionale possibilità di dar fondo a tutta la mia vena creativa, senza dover fare i conti con i normali limiti di omologazione della moto (che non è destinata alla circolazione su strada), mi ha permesso di creare un mezzo che, difficilmente e in altri contesti opportunamente vincolanti, avrebbe potuto vedere la luce. Ho basato l'idea di fondo sul concetto di vuoto, nonchè sulla modellazione di geometrie spigolose, per rompere la tradizione delle forme morbide con le quali avevo lavorato in passato. Infine, la decisione di installare un monobraccio all'anteriore mi ha costretto giocoforza a uno stimolante lavoro più che mai artigianale".
Data l'impossibilità di utilizzare le piastre-forcella della Griso originale (che avrebbero proiettato il già generoso interasse della moto verso nuove cifre esagerate), la soluzione più ovvia e razionale congegnata dal pescarese è stata quella di inserire il sistema pompante della sospensione idraulica all'interno del cannotto di sterzo. Ciò ha permesso di ottenere due piacevoli benefici: ridurre il passo del mezzo e sgrossare le forme dell'anteriore, ora essenziali e, a detta del costruttore, "ancora più pulite". Il blocco inferiore del monobraccio anteriore è stato mutuato da un'allora-avveniristica Gilera CX, piccola e filante stradale italiana degli anni novanta, attorno al quale è stato costruito un impianto di sospensioni nascoste ad hoc. Un certosino lavoro di riadattamento della trasmissione del movimento dalla forcella al manubrio ha permesso di abbandonare il vecchio schema di leveraggi a parallelepipedo, rinforzando la struttura anteriore con una coppia di steli d'acciaio che scorrono nel fodero di alluminio attraverso un sistema di o-ring e guarnizioni. Della piccola 125 cc, inoltre, sono stati presi in prestito anche gli originali cerchi pieni e, stravolgendone il datato design, sono stati fresati a dovere mediante una macchina CNC. Svuotando la parte in alluminio al fine di ottenere delle tasche che fossero in grado di preservare la rigidità strutturale del cerchio portante, il risultato è stato quello di portare alla luce dodici splendide razze, ora verniciate in bianco. Il cerchio posteriore, poi, ha subito un ulteriore lavoro di adattamento, per giungere alla misura di 5,5'' e montare, così, la gommatura di derivazione di serie. Il mozzo posteriore, infine, è interamente artigianale, costruito in alluminio e anch'esso tornito a CNC. "Ho progettato e realizzato artigianalmente anche le borchie (visibili sul lato sinistro della moto) che coprono il mozzo della ruota, cercando di riportare lo stesso dettaglio anche in altre parti della moto". I molteplici dettagli in alluminio ricavato dal pieno, dalle piastre di sterzo ai paratacchi, passando per l'asta di reazione del cardano, portano la pregevole firma di Officine Rossopuro.
Ma è lo stesso Barbacane, definendo la Diamante uno "studio di design funzionante", a sottolineare che tale sistema di sospensione anteriore non è progettato per garantire staccate ai limiti del funambolico o prestazioni "pistaiole" da primato.
Parafango in carbonio tagliato e modificato, mezzi manubri marchiati Tarozzi, pompe radiali Brembo e faro anteriore dell'italiana Triom, poi, completano l'accattivante avantreno della Diamante.
"Ho sempre ritenuto che il telaietto posteriore della Griso castrasse le sinuose forme della struttura portante, interrotta nettamente nella parte centrale della moto. Desideravo conferire continuità al telaio originale, immaginandolo capace di avvolgere in un giro completo la Griso. Ho quindi progettato e saldato la parte del telaio posteriore, ora con una doppia utilità: restituire coerenza alle forme della moto e ospitare il pur piccolo serbatoio della benzina".
Pochi litri di capacità nascosti sotto al codino, dunque, sufficienti appena per una parata in trionfo o una passerella da primadonna a motore acceso, tra flash, fotografi e appassionati basiti. Ma la Diamante non è da intendersi come moto da lunghe distanze o mezzo da tutti i giorni, tra casa, ufficio e tornanti domenicali. È, prima di ogni altra cosa, visionaria realizzazione di un sogno, fatto di lunghe ore passate a studiare nuove forme e soluzioni non convenzionali. "Il vantaggio è stato quello di poter ridurre le dimensioni della parte anteriore della moto, con serbatoio e fianchetti inverosimilmente rastremati. Inoltre ho potuto finalmente dare vita a un piccolo vezzo estetico che meditavo già da tempo: inserire il tappo del serbatoio nella parte terminale della sella!".
La doppia presa d'aria anteriore, perfettamente integrata nella scocca, ha la funzione di convogliare i flussi direttamente nell'airbox. Abbandonati i due corpi farfallati che montava la Griso di serie, la Diamante (così come la BB1 della Millepercento), si affida a un unico elemento "bicornuto" da 60 mm, cioè il cosiddetto Air-One, che alimenta entrambi i cilindri attraverso un collettore in alluminio. Ma, data la presenza del serbatoio sotto-sella e innovando rispetto all'originale disposizione congegnata per la BB1, Filippo Barbacane ha rovesciato il voluminoso filtro dell'aria, che ora guarda in avanti, con tanto di condotti forzati, ora plasmati appositamente sulle contenute dimensioni della Diamante.
Il motore, si era già capito da un po’, è il Big Bore 1420 cc (per 136 cv di potenza) sviluppato dalla Millepercento e, di certo, non passa inosservato in quanto a cavalleria e prestazioni più in generale. Complici la passione di Stefano Perego e la competenza di Giuseppe Ghezzi (assieme a quella di tutti i meccanici dello staff della Millepercento), il potente gruppo termico ha subito piccoli interventi per adattarsi alle esigenze della Diamante (condotti di alimentazione modificati e testate personalizzate e ora griffate!), pur continuando a preservare le già decantate doti di affidabilità e prestazioni su strada. Laddove si applichi, insomma, una tecnologia da Formula Nascar (quale quella del Big Bore) a un mezzo a due ruote, il divertimento impenna assieme all'apertura della manopola del gas.
"Il vero problema era quello di trovare un radiatore dell'acqua dalle dimensioni contenute, capace di adattarsi alle particolari misure dell'avantreno della Diamante. Ho trovato la soluzione ideale contattando la Fram Corse, che si è dimostrata ben felice di realizzare un radiatore progettato attorno alle mie specifiche".
A completare il quadro tecnico della moto vi sono le due pedane arretrate, di derivazione Moto Guzzi e opportunamente modificate, mentre l'accattivante strumentazione digitale è dell'abruzzese HT Parts.
"Ho sempre realizzato special caratterizzate da forme morbide, ma con la Diamante ho voluto sperimentare nuove soluzioni, quasi "stealth", non troppo dissimili dalla spigolosità del noto aereo F-117".
Non v'è dubbio, infatti, che se la Diamante fosse interamente verniciata in nero (meglio se nero opaco), sarebbe in grado di passare inosservata al controllo dei radar nemici. Ma, pur catalogandola (per assurdo) come il primo esperimento anti-radar marchiato Moto Guzzi, una moto del genere, così rivoluzionaria, anticonvenzionale e oltraggiosa, non passerà mai inosservata agli occhi di ogni attento intenditore del marchio.

[Articolo pubblicato su Bicilindrica]

1 commento:

Donato Cannatello ha detto...

Bravo Filippo, questa Diamante mi piace proprio, sognavo anche io di fare qualcosa con l'avantremo CX, ma forse non mi sarei mai spinto ad un lavoro di adattamento così complicato.

Ricordo ancora con piacere (e spero tu faccia altrettanto) la nostra conoscenza al bike show di Padova 2004??? Io presentavo il John Deere, e tu la Bellerofonte.