lunedì 1 dicembre 2008

Anima




"Ho iniziato a pensarci sei mesi fa, senza un'idea precisa, se non che fosse funzionante: sono salito sul telaio Ghezzi&Brian e ho iniziato a pensarla da sopra. E poi ho finito per terminarla come sempre il giorno prima, con una gestazione lunga: questa moto mi è uscita dall'anima, ecco perchè si chiama così".

Chi ha avuto la fortuna di conoscere Filippo Barbacane sa. Chi non lo conosce ma sa contemplare appieno le sue opere può capire la ricchezza di questo personaggio. Gira e rigira siamo sempre attorno alla solita parola: passione. Potrebbe sembrare una banalità tipografica, purtroppo in realtà è elemento raro. Almeno intendendo per passione non semplicemente il piacere e la dedizione nel proprio lavoro: solo chi la sente nelle viscere come nel resto degli organi, solo chi la vive come mezzo e come fine, come tutto, può possederne i diritti di attribuzione.

Infine Libertà. Altrettanto inflazionatissima parola, anch'essa ben più auto-attribuita che vissuta. Ma assieme alla passione fa la differenza nel saper creare solo belle motociclette oppure capolavori, che possono anche talvolta nascere per fortuna, ma di rado. C'è chi invece li sforna con sudore e sangue ogni volta, perchè mosso dall'ardore dell'amore assoluto e dalla libertà dai pregiudizi, per contemplare ogni cosa, assimilarla, accettarla e farla sua, frecce di uno Zip comprese, smontando la prevedibilità di ciò che ti aspetteresti.

"Volevo una moto retrò ma con le caratteristiche tecniche di una moto moderna: le moto moderne dopo un po' ti stufano, invece guardando il mio S3 lo vedo sempre bello; eppoi la volevo funzionante, la voglio usare".

Dietro a queste semplici parole c'è un lavoro immenso e peculiare (grazie anche al prezioso aiuto di Paolo D'Alcini), perchè non è da tutti, per avere a tutti i costi quello che si ha in mente, prendere un paio di cerchi a raggi tubeless e segarli letteralmente a metà per allargarli o stringerli e risaldarli a seconda di dove andranno a finire (all'anteriore il 4" originale è diventato un 3,5" e al posteriore si è meravigliosamente dilatato a 5,5"). Già basterebbe questo per capire la ricchezza, il talento e la capacità risolutiva del folletto pescarese: se poi si prosegue nell'analisi dei dettagli si fa notte. Vogliamo parlare delle piccole prese d'aria ricavate dalle piastrine di chiusura laterali dell'airbox? Ma come ti può venire in mente?! E che dire del forcellone originale modificato con l'aggiunta di una capriata superiore? Parliamone! Quanto ha guadagnato in bellezza e importanza? E il codino spaziale in tutti i sensi, con gli stop ricavati dalle frecce posteriori di un Piaggio Zip modificate, al posto del solito codino tondeggiante da 'classica' Cafè Racer? Non vi basta? Allora aggiungiamoci il mozzo anteriore, ricavato dal pieno in alluminio, il faro (non cercatelo nei cataloghi, non esiste), la possente forcella Paioli da 51 all'anteriore ("la più grossa forcella a steli tradizionali in circolazione, il top, ed è l'ultimo esemplare"), il mono posteriore Bitubo ma mica preso così com'è, nono: fatto fare apposta! Eppoi i dischi Braking Batfly da competizione, i coperchi valvole spazzolati ("sogno di rifarli, non ne ho avuto il tempo"), la verniciatura ("fosse per me le moto le farei tutte nere, non mi piacciono i colori accesi, però volevo ricordasse il metallo, l'ho scelto in una notte, andando per esclusione")...

Siamo stesi, sopraffatti dalla genialità del re del tuning (ma è troppo poco, lo so, non è solo tuning), e guardiamo infine l'insieme di questa forza d'alluminio e acciaio protesa in avanti senza essere squilibrata in avanti, in un raro equilibrio grazie a un retrotreno armonico e altrettanto forte, schiacciato a terra dallo scintillio del leveraggio posteriore (rifatte anche le piastre di attacco, figuriamoci!). In più, con quel nome, non possiamo far altro che rispecchiarcisi dentro... ;-)


di Alberto Sala

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