



Chi ha avuto la fortuna di conoscere Filippo Barbacane sa. Chi non lo conosce ma sa contemplare appieno le sue opere può capire la ricchezza di questo personaggio. Gira e rigira siamo sempre attorno alla solita parola: passione. Potrebbe sembrare una banalità tipografica, purtroppo in realtà è elemento raro. Almeno intendendo per passione non semplicemente il piacere e la dedizione nel proprio lavoro: solo chi la sente nelle viscere come nel resto degli organi, solo chi la vive come mezzo e come fine, come tutto, può possederne i diritti di attribuzione.
Infine Libertà. Altrettanto inflazionatissima parola, anch'essa ben più auto-attribuita che vissuta. Ma assieme alla passione fa la differenza nel saper creare solo belle motociclette oppure capolavori, che possono anche talvolta nascere per fortuna, ma di rado. C'è chi invece li sforna con sudore e sangue ogni volta, perchè mosso dall'ardore dell'amore assoluto e dalla libertà dai pregiudizi, per contemplare ogni cosa, assimilarla, accettarla e farla sua, frecce di uno Zip comprese, smontando la prevedibilità di ciò che ti aspetteresti.
"Volevo una moto retrò ma con le caratteristiche tecniche di una moto moderna: le moto moderne dopo un po' ti stufano, invece guardando il mio S3 lo vedo sempre bello; eppoi la volevo funzionante, la voglio usare".
Dietro a queste semplici parole c'è un lavoro immenso e peculiare (grazie anche al prezioso aiuto di Paolo D'Alcini), perchè non è da tutti, per avere a tutti i costi quello che si ha in mente, prendere un paio di cerchi a raggi tubeless e segarli letteralmente a metà per allargarli o stringerli e risaldarli a seconda di dove andranno a finire (all'anteriore il 4" originale è diventato un 3,5" e al posteriore si è meravigliosamente dilatato a 5,5"). Già basterebbe questo per capire la ricchezza, il talento e la capacità risolutiva del folletto pescarese: se poi si prosegue nell'analisi dei dettagli si fa notte. Vogliamo parlare delle piccole prese d'aria ricavate dalle piastrine di chiusura laterali dell'airbox? Ma come ti può venire in mente?! E che dire del forcellone originale modificato con l'aggiunta di una capriata superiore? Parliamone! Quanto ha guadagnato in bellezza e importanza? E il codino spaziale in tutti i sensi, con gli stop ricavati dalle frecce posteriori di un Piaggio Zip modificate, al posto del solito codino tondeggiante da 'classica' Cafè Racer? Non vi basta? Allora aggiungiamoci il mozzo anteriore, ricavato dal pieno in alluminio, il faro (non cercatelo nei cataloghi, non esiste), la possente forcella Paioli da 51 all'anteriore ("la più grossa forcella a steli tradizionali in circolazione, il top, ed è l'ultimo esemplare"), il mono posteriore Bitubo ma mica preso così com'è, nono: fatto fare apposta! Eppoi i dischi Braking Batfly da competizione, i coperchi valvole spazzolati ("sogno di rifarli, non ne ho avuto il tempo"), la verniciatura ("fosse per me le moto le farei tutte nere, non mi piacciono i colori accesi, però volevo ricordasse il metallo, l'ho scelto in una notte, andando per esclusione")...
Siamo stesi, sopraffatti dalla genialità del re del tuning (ma è troppo poco, lo so, non è solo tuning), e guardiamo infine l'insieme di questa forza d'alluminio e acciaio protesa in avanti senza essere squilibrata in avanti, in un raro equilibrio grazie a un retrotreno armonico e altrettanto forte, schiacciato a terra dallo scintillio del leveraggio posteriore (rifatte anche le piastre di attacco, figuriamoci!). In più, con quel nome, non possiamo far altro che rispecchiarcisi dentro... ;-)
IN QUALSIASI LUOGO E IN QUALSIASI MOMENTO, DENTRO I VOSTRI SOGNI.
C'è uno spazio particolare deputato da ognuno di noi per collocare i propri voli più arditi e segreti, un luogo che in rare occasioni visitiamo durante il giorno, e neppure la notte, dipende. Dipende dalla luna, da come è stata la giornata, da come ci addormentiamo, da quanto sappiamo isolarci per cercare altro. Ma neppure tutti i nostri sogni vi entrano, che siano a occhi più o meno aperti. Solo alcuni. Solo alcuni escono dalla banalità, dalla materia fisica e dal ricordo nitido, solo alcuni si fanno semplici ed essenziali, lievi come una brezza ma rivelatrici più di ogni altra cosa del nostro mondo più nascosto, e per questo terribilmente attraente. Nascosto perchè talvolta così intimo da aver paura anche del suo padrone, paura che non sia il momento adatto per recepirlo, per assimilarlo, per seguirlo decisi fino in fondo. Si fanno vivi solo quando sono certi di essere ascoltati e visti con l'esaltazione vivissima della rivelazione.
E spesso nascono da spunti del tutto inattesi; a volte è un immagine colta sfogliando altro che funge da scintilla dirompente in un deposito di esplosivi. Nel caso di FIlippo Barbacane è stata una pagina di Freeway sulle Board Track a scatenare tutto, a concretizzare qualcosa che stava già vagando senza definizione precisa nella sua mente, nel limbo. E quando hai nitida la rivelazione diventi attivo come ventiquattro fulmini e non conosci altro che la tua creatura che sta materializzandosi, veloce, in fretta, prima che sia troppo tardi, prima che la purezza venga 'inquinata' dal successivo, eccessivo, raziocinio.
Così il creatore di altri capolavori a nome Firestarter Garage, per venti intensi giorni (e notti) ha saldato, recuperato, tagliato, sagomato, assemblato il suo sogno, appena in tempo per la sua consacrazione a Padova, al Bike Expo Show cogliendo un meritato primo premio (ex equo). Bellerofonte, una Board Track rude dal sapore di ferro e di petrolio, memoria degli anni '20, quando le moto non sapevano neppure che esistessero i freni, quando la sfida era motorizzare un telaio di bicicletta e lanciarsi su paurosi ovali in legno inclinati a 60 gradi, così quasi a mani nude. Bellerofonte, una moto lunga un sogno, slanciata come un levriero teso nel suo scatto agile e leggero, arcuata come una randa di bolina cazzata a ferro per stare sul filo della raffica, sul bordo sottilissimo come una drizza...
Entare nei dettagli sui materiali usati è esercizio utile alla conferma della sana genialità di Filippo, applicata nella ricerca di materiali semplici, poveri, o addirittura di pezzi 'riciclati' come il pomello del cambio proveniente da un treno, o il manubrio tolto da un espositore per parabrezza, e come non rimanere stupiti del pedale del freno, somigliante a un infernale zoccolo di Lucifero tanto da aver paura di scottarsi ad azionarlo, o del cilindro tra i pistoni raggruppante tutti gli odiosi ammenicoli elettrici a guisa di barilotto di San Bernardo? Dal creatore del Cyclope, il V11 più stupefacente del globo guzzista, e della Kimera, altra creatura sensuale su telaio Ghezzi & Brian, ci giunge questo spettacolo affascinante, conferma di un talento fuori dal comune, irrequieto e instancabile nel percorrere e materializzare i suoi sogni (o incubi?), e chissà a cosa starà dando forma ora, mente leggete questo articolo...
L’impianto frenante promette spazi d’arresto da mezzo cingolato, la doppia “corona ferrea” Braking da 420 consente decelerazioni bestiali: si raccomanda la preparazione atletica. Meglio di così avrebbe potuto fare solo la pompa radiale, ma allora sì che si rischiava il ribaltamento ad ogni semaforo. Tanti i particolari mostrano l’intento di corazzare l’infernale veicolo, esempio ne sono il luccicante serbatoio olio-freni anteriore in alluminio antiproiettile e le leve dei comandi in tungsteno scolpito al laser (forse sto esagerando... ma il momento non è per niente catartico!)
Leggeri ma significativi gli interventi estetici: il posteriore ricreato nel telaietto e nella sella monoposto, perché in battaglia non si va con la famiglia, termina in un bellissimo codino dove è stato letteralmente incastonato un fanalino di provenienza KTM Duke; intrigante lo specchietto singolo, due specchietti sarebbero tutto sommato da cerimonia vezzosa; per questa in fondo basta e avanza il manubrio in tinta con l’anodizzazione degli efficacissimi cerchi OZ.
Un antichissimo proverbio recita: “Quando una cosa sta bene che basta, lasciala star perché si guasta”. Irto e spinoso fu dunque il cammino che l’audace Filippo intraprese, e visti i risultati, possiamo dire che vinta è la sfida: largo a nuove imprese.
Di Mauro Iosca