mercoledì 3 dicembre 2008

80(Ottanta)




Sport 24 (Work in prog..)









Sport 12





Solitamente le apparizioni delle splendide special di Filippo Barbacane coincidono con il Bike Expo, vetrina che l'ha visto spesso protagonista assoluto con i suoi gioielli. Questa volta l'analisi di questa sua elaborazione illustra maggiormente quella che è la sua attività consueta aldilà delle fiere e dei concorsi: la preparazione e rivisitazione di moto "qualunque" di un qualsiasi appassionato che decide di affidare la propria bella a cotanto chirurgo estetico. In questo caso si tratta di un 1200 Sport affidato alle sue geniali mani senza particolari indicazioni sulla rotta da seguire, se non il raggio limitato dal budget.
Libero di seguire il proprio istinto, Filippo si è ricordato di alcune idee che l'avevano stuzzicato fin da quando possedeva una Breva 1100. "Mi è sempre piaciuto il suo serbatoio, grosso e coricato in avanti, è proprio come piace a me", così senza toccare questo elemento portante si è premurato di accentuarne ancor più la sua proiezione in basso con una delle sue modifiche più tipiche e caratterizzanti: il piccolo faro anteriore basso, che cambia radicalmente lo sguardo anteriore della moto, mentre sopra di lui il cupolino originale ha subito un profondo ritocco. E al posteriore? Ecco l'altro motivo dominante: il portanumero, che sostituisce con la sua rigonfia rotondità gli spigoli originali sul coprisella, dandogli quel sempre piacevole gusto retrò che si sposa così facilmente con l'estetica autenticamente retrò del motore Guzzi.
Il resto è fatto di piccoli dettagli che contribuiscono a rendere questa bella 1200Sport più compressa e ristretta e nello stesso tempo più filante, il tutto nell'ottica di non stravolgere nulla nè di apporre modifiche permanenti al telaio e alle altre strutture fondamentali della moto. Difatti praticamente anche il telaio posteriore non è stato modificato se non in piccolissimi particolari, limitandosi ad eliminare il vano portaoggetti sotto la sella, e laddove si è reso necessario trapiantare parti provenienti da altri modelli, si è scelto due elementi Griso: la forcella anteriore e lo scarico originariamente previsto per quell'autentica special di serie che è la Griso.
Concludo notando un tocco di raffinatezza raro: l'ovale nero bordato di rosso, originariamente pensato per il primo prototipo di Griso eppoi stroncato da una illogica fossilizzazione sul rosso: è al contempo bellissimo e assai più azzeccato per questo genere di bolide. Chapeau!

martedì 2 dicembre 2008

Nemesis



ZERO






Filippo Barbacane è il classico tipo che non se ne sta mai un momento fermo. Anzi, per sua stessa ammissione, quando se la prende comoda, spesso e volentieri, non combina niente di buono. Come se la vita, per lui, scorresse a una velocità superiore rispetto alla maggior parte delle persone.
Ecco che, appena è stata presentata la Griso, a Filippo è subito venuto in mente l’idea di stravolgerne la base meccanica per dar vita, diciamo così, a qualcosa di particolare…
In special modo, il pescarese era fortemente incuriosito dal telaio che caratterizza la muscle bike di Mandello del Lario. “Ricordo di essere rimasto molto colpito la prima volta che ho visto la Griso dal vivo – spiega Filippo - Le forme del telaio, infatti, lasciavano intendere delle applicazioni molto interessanti, con questi tubi di grosso diametro che confluiscono in due massicce piastre laterali. Inizialmente, tuttavia, mi sembrava che questa struttura presentasse qualche limite per via dell’impostazione abbastanza custom che hanno dato alla moto. Invece mi sono dovuto ricredere…”
Pur interessato all’oggetto, dunque, Filippo ha messo momentaneamente da parte l’istinto creativo fino a quando non ha avuto un esemplare, come si suol dire, per le mani. In quell’occasione, infatti, si è accorto che, in realtà, il potenziale era addirittura superiore alle sue aspettative. E lì non ha saputo resistere: “Quando ho capito che le piastre laterali non hanno una funzione portante e possono quindi essere rimosse, mi si è accesa la classica lampadina sopra la testa! Secondo me, infatti, le piastre appesantiscono molto la struttura e tolgono quella connotazione un po’ rude che una Guzzi deve possedere. Questa semplice modifica, dunque, mi ha fatto venire voglia di fare tutto il resto…”
In realtà, l’idea di Barbacane è stata poi ripresa, seppur a fronte di un concetto completamente diverso, dalla stessa Moto Guzzi per la realizzazione della 940 Custom.
Un problema che, viceversa, Filippo ha individuato altrettanto immediatamente è il fatto che il telaietto posteriore risulti integrato nel telaio stesso, anziché esservi imbullonato come sui modelli sportivi, limitando di fatto le possibilità di intervento senza andare a compromettere l’originalità del mezzo: “Una delle mie prerogative, quando vado a realizzare una special, è che le modifiche fatte non vadano a intaccare la struttura del veicolo e che siano, a meno di casi particolari, perfettamente reversibili.”
In questo caso, appunto, Filippo ha dovuto fare un’eccezione, tagliando via il telaietto originale e realizzandone un altro più corto e alto, in modo da ottenere una linea generale del mezzo molto più aggressiva rispetto a prima.
A quel punto, però, il serbatoio originale non si sposava più con la nuova impostazione, dunque è stato rifatto, realizzando un’unità in fibra di vetro sottostante, incastrata all’interno dei tubi perimetrali del telaio stesso, e una copertura esterna che riprende anche i fianchetti sopra i cilindri. La particolarità di questa struttura è data dal fatto di possedere quattro prese d’aria che alimentano una sorta di air box sotto alla copertura del serbatoio, garantendo così aria fresca all’impianto di alimentazione.
Il filtro originale e la relativa scatola sono stati infatti eliminati in favore di due filtri singoli ad alta permeabilità della BMC a tronco di cono. Filippo dichiara che, dai test effettuati, è emerso un aumento tangibile della coppia a disposizione: “Provando la moto ci siamo accorti che la spinta ai regimi intermedi è aumentata. Del resto, il percorso che l’aria deve compiere per arrivare all’impianto di alimentazione in presenza dell’air box originale è piuttosto complicato, mentre adesso i corpi farfallati la ricevono addirittura con una certa pressione, grazie a dei condotti che portano direttamente dalla superficie anteriore del serbatoio ai filtri.”
Non era comunque sul motore che Barbacane voleva concentrare le sue risorse, come testimonia la semplice sostituzione dell’impianto di scarico originale con un altro della Quat-D (provvisto di centralina con mappatura dedicata), installato più per motivi estetici, e legati al considerevole risparmio di peso, che prestazionali.
Ben altra sorte è toccata alla parte ciclistica. Partiamo dall’avantreno: nonostante la Griso di serie si faccia apprezzare per il gran feeling di guida che sa trasmettere al pilota, Filippo ha voluto ribadire il concetto installando all’avantreno una massiccia forcella Marzocchi con steli da 50 mm. In pratica, si tratta della stessa unità che equipaggia le MV Agusta F4 e Brutale.
A corredo, sono state realizzate delle nuove piastre di sterzo da colui che insieme a Barbacane ha dato vita al marchio Rossopuro: Paolo D’Alcini. In questo modo, la rigorosità dell’anteriore non è più in discussione, mentre dietro è stato inserito un ammortizzatore in alluminio della Bitubo (modello 3R) tarato appositamente e provvisto di tutte le regolazioni del caso.
Un'altra delle prerogative di Filippo era quella di dotare la moto di cerchi a raggi. Al di là del rapporto di collaborazione che lo lega alla Alpina, infatti, Barbacane desiderava che la sua special fosse caratterizzata da un aspetto, per quanto sportiva, comunque classico.
“Già con una mia realizzazione precedente, ribattezzata Anima, avevo cercato di ottenere il giusto compromesso tra soluzioni tecniche al passo con i tempi, ma impatto estetico pulito ed equilibrato. Tuttavia, alla fine mi era venuta fuori una moto dal gusto moderno, mentre con questa penso di aver centrato meglio l’obiettivo che mi ero preposto.”
Tornando agli aspetti puramente tecnici, Filippo si è dovuto impegnare non poco per adattare una coppia di cerchi Alpina sulla Griso, visto che quest’ultima ha un forcellone monobraccio e dunque una ruota posteriore a sbalzo, mentre l’azienda di Lomagna (LC) non produce un simile articolo. Si sono dovute dunque adattare delle unità originariamente progettate per la V11, visto che questo modello ha comunque la stessa larghezza del canale, sia davanti (3,50”) che dietro (5,50”), rispetto alla Griso.
“Come ho spesso avuto modo di sottolineare - spiega Filippo - cerco sempre di lasciare inalterata la struttura delle moto che trasformo, sia a livello di quote ciclistiche che di bilanciamento dei pesi, concentrandomi prevalentemente sulla parte estetica. Pur trattandosi di special, infatti, non conviene mai andare a modificare i dati riportati sul libretto di circolazione.”
L’impianto frenante è stato considerevolmente aggiornato attraverso l’introduzione di una coppia di pinze Brembo anteriori ad attacco radiale (in accordo con i nuovi piedini forcella ricavati dal pieno) e altrettanti dischi della Alth da 320 mm. Il tutto è poi completato da una pompa radiale al manubrio della Brembo, così come per il comando idraulico della frizione, e da condotti in treccia metallica.
La posizione di guida, contravvenendo in parte alla razionalità del modello originale, prevede adesso dei mezzi manubri (realizzati ex novo) di chiara impostazione sportiva al posto della larga e comoda unità di serie.
Si tratta di una scelta per certi versi rischiosa, visto che il manubrio della Griso rappresenta un elemento di forte caratterizzazione. Ad ogni modo, Barbacane ha saputo interpretare molto bene il concetto di racer classica attraverso questa special, pur non escludendo che, un domani, possa comunque tornare al manubrio largo.
Anche le pedane sono state costruite di sana pianta, senza contare che D’Alcini ha dovuto fare i conti, in termini dimensionali, con una leggera asimmetria tra le due, non apprezzabile ad occhio nudo, ma comunque determinante ai fini del loro posizionamento.
Queste unità sono inoltre provviste di fori supplementari per offrire una vasta possibilità di regolazione e rappresentano il prototipo di un prodotto definitivo che, molto probabilmente, comparirà presto all’interno del catalogo Rossopuro. Lo stesso vale per l’asta di reazione della trasmissione e le protezioni per le candele, tutte in alluminio ricavato dal pieno, mentre i coperchi che coprono i corpi farfallati dell’iniezione sono in alluminio tagliato al laser, sempre di matrice Rossopuro.
In realtà, pur avvalendosi della collaborazione del marchio Quat-D, anche l’impianto di scarico segue le specifiche di Barbacane, il quale ci spiega il perché del silenziatore posto sotto la sella: “Questo layout non costituisce certo una novità, tuttavia io non l’avevo mai adottato prima, dunque ho voluto provare, cercando comunque di dargli un’interpretazione inedita. Volevo, infatti, che lo scarico sembrasse parte integrante del codone. Per rendere più compatto il retrotreno, inoltre, le luci di stop sono vincolate al silenziatore stesso.”
Il risultato è quello di una moto che sembra estremamente più corta e piccola rispetto al modello originale e Filippo assicura che, in movimento, questa sensazione viene ulteriormente amplificata.
A questo contribuisce anche la parte anteriore, con il faro dalla forma ovale (di derivazione scooteristica) e la strumentazione di serie maggiormente incassati rispetto alla configurazione prevista dalla Casa madre.
Quest’ultimo tocco, ha completato la profonda trasformazione subita dall’estetica generale, che non ha però perso di equilibrio, acquisendo anzi maggior originalità e carattere.
Ricordiamoci che stiamo parlando della Griso, una moto il cui design non è mai stato messo in discussione, cosa che accresce ancora di più il valore del lavoro fatto da Barbacane: “Le moto che realizzo devono avere una certa continuità nella linee. Voglio cioè che il codone, il serbatoio e il faro siano ben accordati tra di loro, come se fossero stati pensati da una mente unica, anche se magari non è così. Non ci devono essere, in pratica, elementi che si discostano dagli altri.”
Riguardo lo stile del veicolo, comunque, Barbacane ribadisce il fatto che tutto è partito dalla possibilità di eliminare dal telaio della Griso le vistose piastre laterali. Se ciò non fosse stato fattibile, lui stesso avrebbe probabilmente percorso un’altra strada.
“Gli ultimi modelli Guzzi, purtroppo, non tengono conto del lavoro che, in un secondo momento, svolgono le persone come me. Le moto di adesso sono infatti caratterizzate da soluzioni tecniche ed estetiche su cui è molto difficile intervenire. Le piastre laterali della Griso ne sono un esempio. Se non fossero state amovibili avrebbero costituito un vincolo pesante intorno al quale dover lavorare. E’ chiaro, però, che sarebbe troppo chiedere alla Casa di Mandello di impostare un progetto in base alle mie esigenze!”
Il discorso di Barbacane non è del tutto fuori luogo. Se un’azienda si concentrasse su soluzioni più semplici e meno definitive, lasciando margine ai preparatori, potrebbe risparmiare sulla produzione. Inoltre, con una maggior presenza di specialisti e produttori di accessori dedicati alla Moto Guzzi, si vedrebbero più moto con lo stemma dell’Aquila sulle riviste di settore, invogliando magari un maggior numero di clienti ad acquistarle.
Sono cose che il marketing di una Casa come quella di Mandello del Lario dovrebbe senz’altro prendere in considerazione, così come il fatto di prendere spunto da personaggi come Barbacane per la realizzazione di futuri modelli.
Per quanto lo riguarda, Filippo crede che, con quest’ultima special, abbia dato vita a uno dei suoi migliori esemplari: “La sensazione che ho è quella di aver raggiunto un risultato molto equilibrato, come se la moto potesse, con i dovuti accorgimenti per l’industrializzazione, essere prodotta in serie. Il livello delle finiture, infatti, è lo stesso di un modello che esce dalla fabbrica. Mi ritengo dunque molto soddisfatto.”
In tema di anticipazioni, Barbacane ci confida che la sua prossima fatica potrebbe riguardare ancora la Griso, interpretata stavolta secondo i canoni custom portati all’estremo. Nel caso, ve ne daremo ovviamente notizia…

di Lorenzo Miniate - Bicilindrica

lunedì 1 dicembre 2008

Eight Ball Boy


Anima




"Ho iniziato a pensarci sei mesi fa, senza un'idea precisa, se non che fosse funzionante: sono salito sul telaio Ghezzi&Brian e ho iniziato a pensarla da sopra. E poi ho finito per terminarla come sempre il giorno prima, con una gestazione lunga: questa moto mi è uscita dall'anima, ecco perchè si chiama così".

Chi ha avuto la fortuna di conoscere Filippo Barbacane sa. Chi non lo conosce ma sa contemplare appieno le sue opere può capire la ricchezza di questo personaggio. Gira e rigira siamo sempre attorno alla solita parola: passione. Potrebbe sembrare una banalità tipografica, purtroppo in realtà è elemento raro. Almeno intendendo per passione non semplicemente il piacere e la dedizione nel proprio lavoro: solo chi la sente nelle viscere come nel resto degli organi, solo chi la vive come mezzo e come fine, come tutto, può possederne i diritti di attribuzione.

Infine Libertà. Altrettanto inflazionatissima parola, anch'essa ben più auto-attribuita che vissuta. Ma assieme alla passione fa la differenza nel saper creare solo belle motociclette oppure capolavori, che possono anche talvolta nascere per fortuna, ma di rado. C'è chi invece li sforna con sudore e sangue ogni volta, perchè mosso dall'ardore dell'amore assoluto e dalla libertà dai pregiudizi, per contemplare ogni cosa, assimilarla, accettarla e farla sua, frecce di uno Zip comprese, smontando la prevedibilità di ciò che ti aspetteresti.

"Volevo una moto retrò ma con le caratteristiche tecniche di una moto moderna: le moto moderne dopo un po' ti stufano, invece guardando il mio S3 lo vedo sempre bello; eppoi la volevo funzionante, la voglio usare".

Dietro a queste semplici parole c'è un lavoro immenso e peculiare (grazie anche al prezioso aiuto di Paolo D'Alcini), perchè non è da tutti, per avere a tutti i costi quello che si ha in mente, prendere un paio di cerchi a raggi tubeless e segarli letteralmente a metà per allargarli o stringerli e risaldarli a seconda di dove andranno a finire (all'anteriore il 4" originale è diventato un 3,5" e al posteriore si è meravigliosamente dilatato a 5,5"). Già basterebbe questo per capire la ricchezza, il talento e la capacità risolutiva del folletto pescarese: se poi si prosegue nell'analisi dei dettagli si fa notte. Vogliamo parlare delle piccole prese d'aria ricavate dalle piastrine di chiusura laterali dell'airbox? Ma come ti può venire in mente?! E che dire del forcellone originale modificato con l'aggiunta di una capriata superiore? Parliamone! Quanto ha guadagnato in bellezza e importanza? E il codino spaziale in tutti i sensi, con gli stop ricavati dalle frecce posteriori di un Piaggio Zip modificate, al posto del solito codino tondeggiante da 'classica' Cafè Racer? Non vi basta? Allora aggiungiamoci il mozzo anteriore, ricavato dal pieno in alluminio, il faro (non cercatelo nei cataloghi, non esiste), la possente forcella Paioli da 51 all'anteriore ("la più grossa forcella a steli tradizionali in circolazione, il top, ed è l'ultimo esemplare"), il mono posteriore Bitubo ma mica preso così com'è, nono: fatto fare apposta! Eppoi i dischi Braking Batfly da competizione, i coperchi valvole spazzolati ("sogno di rifarli, non ne ho avuto il tempo"), la verniciatura ("fosse per me le moto le farei tutte nere, non mi piacciono i colori accesi, però volevo ricordasse il metallo, l'ho scelto in una notte, andando per esclusione")...

Siamo stesi, sopraffatti dalla genialità del re del tuning (ma è troppo poco, lo so, non è solo tuning), e guardiamo infine l'insieme di questa forza d'alluminio e acciaio protesa in avanti senza essere squilibrata in avanti, in un raro equilibrio grazie a un retrotreno armonico e altrettanto forte, schiacciato a terra dallo scintillio del leveraggio posteriore (rifatte anche le piastre di attacco, figuriamoci!). In più, con quel nome, non possiamo far altro che rispecchiarcisi dentro... ;-)


di Alberto Sala

RossoPuro






Bellerofonte






IN QUALSIASI LUOGO E IN QUALSIASI MOMENTO, DENTRO I VOSTRI SOGNI.


C'è uno spazio particolare deputato da ognuno di noi per collocare i propri voli più arditi e segreti, un luogo che in rare occasioni visitiamo durante il giorno, e neppure la notte, dipende. Dipende dalla luna, da come è stata la giornata, da come ci addormentiamo, da quanto sappiamo isolarci per cercare altro. Ma neppure tutti i nostri sogni vi entrano, che siano a occhi più o meno aperti. Solo alcuni. Solo alcuni escono dalla banalità, dalla materia fisica e dal ricordo nitido, solo alcuni si fanno semplici ed essenziali, lievi come una brezza ma rivelatrici più di ogni altra cosa del nostro mondo più nascosto, e per questo terribilmente attraente. Nascosto perchè talvolta così intimo da aver paura anche del suo padrone, paura che non sia il momento adatto per recepirlo, per assimilarlo, per seguirlo decisi fino in fondo. Si fanno vivi solo quando sono certi di essere ascoltati e visti con l'esaltazione vivissima della rivelazione.

E spesso nascono da spunti del tutto inattesi; a volte è un immagine colta sfogliando altro che funge da scintilla dirompente in un deposito di esplosivi. Nel caso di FIlippo Barbacane è stata una pagina di Freeway sulle Board Track a scatenare tutto, a concretizzare qualcosa che stava già vagando senza definizione precisa nella sua mente, nel limbo. E quando hai nitida la rivelazione diventi attivo come ventiquattro fulmini e non conosci altro che la tua creatura che sta materializzandosi, veloce, in fretta, prima che sia troppo tardi, prima che la purezza venga 'inquinata' dal successivo, eccessivo, raziocinio.

Così il creatore di altri capolavori a nome Firestarter Garage, per venti intensi giorni (e notti) ha saldato, recuperato, tagliato, sagomato, assemblato il suo sogno, appena in tempo per la sua consacrazione a Padova, al Bike Expo Show cogliendo un meritato primo premio (ex equo). Bellerofonte, una Board Track rude dal sapore di ferro e di petrolio, memoria degli anni '20, quando le moto non sapevano neppure che esistessero i freni, quando la sfida era motorizzare un telaio di bicicletta e lanciarsi su paurosi ovali in legno inclinati a 60 gradi, così quasi a mani nude. Bellerofonte, una moto lunga un sogno, slanciata come un levriero teso nel suo scatto agile e leggero, arcuata come una randa di bolina cazzata a ferro per stare sul filo della raffica, sul bordo sottilissimo come una drizza...

Entare nei dettagli sui materiali usati è esercizio utile alla conferma della sana genialità di Filippo, applicata nella ricerca di materiali semplici, poveri, o addirittura di pezzi 'riciclati' come il pomello del cambio proveniente da un treno, o il manubrio tolto da un espositore per parabrezza, e come non rimanere stupiti del pedale del freno, somigliante a un infernale zoccolo di Lucifero tanto da aver paura di scottarsi ad azionarlo, o del cilindro tra i pistoni raggruppante tutti gli odiosi ammenicoli elettrici a guisa di barilotto di San Bernardo? Dal creatore del Cyclope, il V11 più stupefacente del globo guzzista, e della Kimera, altra creatura sensuale su telaio Ghezzi & Brian, ci giunge questo spettacolo affascinante, conferma di un talento fuori dal comune, irrequieto e instancabile nel percorrere e materializzare i suoi sogni (o incubi?), e chissà a cosa starà dando forma ora, mente leggete questo articolo...


di Alberto Sala

S3 Racer



FSG004







Una volta erano solo gli elementi con la loro forza assoluta e l’ostinazione dell’uomo volta a dominarli.
Poi fu il fuoco la pietra e il ferro e l’uomo vinse.
La conquista come non semplice raggiungimento dell’anelata meta, bensì esercizio di dominio, forza, possesso, superiorità.
Innumerevoli analogie saldano in un unico destino competizione e guerra, perfezione, innovazione, resistenza, potenza pura e velocità.
E così è la storia degli oggetti motorizzati che fin dalla notte dei tempi prestarono i loro servigi a tutte le cause di aria, di mare e di terra. Figli della metallurgia pesante si sono nei secoli ingentiliti fino ad oggi secondo medioevo del mondo.
È forse per siffatte origini che Filippo e la di lui creatura reclamano al primo sguardo marziale rispetto? O e per via del già celeberrimo casato a cui l’esuberante cavalcatura appartiene per nascita? Difficile a dirsi, signori miei. Certo è che oro, carbone e argento così ben combinati danno rinnovato lustro alla nobile stirpe.
Tutto in questa ultima opera di Firestarter Garage (al secolo Filippo Barbacane) richiama la “macchina da guerra” a cominciare dal nome FSG 004, sebbene facilmente intuibile il riferimento all’ultimo prototipo di casa Guzzi, questa codifica è altrettanto degna d’un sommergibile nucleare. La livrea nera opaca e ruvida sembra voler ricordare l’armatura del guerriero, di colui cioè che non ha paura di sporcarsi, che sa di cosa è fatto il suo destino. Le sospensioni forti e meglio addestrate accettano ogni sfida, anche quella dello spostarsi vincendo ogni barriera incuranti del campo dove sarà la prossima battaglia. E se il nemico arrivasse nella notte? A far luce la meravigliosa doppia torcia si orienterà all’orizzonte fissando tutte le traiettorie (particolare inedito e assolutamente originale, al fanale sdoppiato non aveva pensato mai nessuno... bravo Filippo!).

L’impianto frenante promette spazi d’arresto da mezzo cingolato, la doppia “corona ferrea” Braking da 420 consente decelerazioni bestiali: si raccomanda la preparazione atletica. Meglio di così avrebbe potuto fare solo la pompa radiale, ma allora sì che si rischiava il ribaltamento ad ogni semaforo. Tanti i particolari mostrano l’intento di corazzare l’infernale veicolo, esempio ne sono il luccicante serbatoio olio-freni anteriore in alluminio antiproiettile e le leve dei comandi in tungsteno scolpito al laser (forse sto esagerando... ma il momento non è per niente catartico!)
Leggeri ma significativi gli interventi estetici: il posteriore ricreato nel telaietto e nella sella monoposto, perché in battaglia non si va con la famiglia, termina in un bellissimo codino dove è stato letteralmente incastonato un fanalino di provenienza KTM Duke; intrigante lo specchietto singolo, due specchietti sarebbero tutto sommato da cerimonia vezzosa; per questa in fondo basta e avanza il manubrio in tinta con l’anodizzazione degli efficacissimi cerchi OZ.

Un antichissimo proverbio recita: “Quando una cosa sta bene che basta, lasciala star perché si guasta”. Irto e spinoso fu dunque il cammino che l’audace Filippo intraprese, e visti i risultati, possiamo dire che vinta è la sfida: largo a nuove imprese.


Di Mauro Iosca